“Una bussola ti indica il nord dal punto in cui ti trovi, ma non può avvertirti delle paludi, dei deserti e degli abissi che incontrerai lungo il cammino. Se nel perseguire la tua destinazione ti spingi oltre non curante degli ostacoli e affondi in una palude, a che serve sapere il nord…” (citazione dal film Lincoln) Un Daniel Day Lewis da Oscar interpreta il presidente Abrahm Lincoln nell’ultima, “kolossale”, fatica di Steven Spielberg in cui viene cine-raccontato il travagliato processo politico e sociale che portò gli Stati Uniti d’America all’abrogazione della schiavitù con un 13° emendamento alla propria Costituzione.

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Tema caro a Spielberg, quello della schiavitù, già esplorato ne Il Colore Viola (1985) con Whoopi Goldberg (alla sua primissima apparizione sul Grande Schermo) e Danny Glover che rimanda al più grande tema dell’olocausto al centro della Schindler’s List (sempre di Spielberg) premiata già con 7 statuette dorate nel 1993. La pellicola è densa e tratteggia un Lincoln fiaccato dalla guerra e bersaglio del bigotto Congresso dell’epoca. Un Lincoln che vive sul proprio fisico le tribolazioni che porteranno all’emanazione del 13° emendamento fra maggioranze risicate, alleanze forzate, intrighi e compromessi politici. Un Lincoln provato anche dalle condizioni mentali precarie della moglie (straziata dalla morte di uno dei tre figli) e dal rapporto conflittuale con un primogenito che vuole, come i suoi coetanei, partecipare alla guerra rinunciando alla protezione del padre. Una battuta del film riassume perfettamente questa condizione umana: “C’è una pesantezza che mi morde le ossa!” La musica è quasi del tutto assente o invade la scena sono in alcuni momenti corali. I dialoghi sono serrati, sontuosi. “Come posso credere che tutti gli uomini siano stati creati uguali, quando davanti a me vedo la carcassa maleodorante del gentiluomo dell’Ohio a prova che alcuni uomini sono stati creati inferiori, provvisti dal creatore di scarsa intelligenza, impermeabili alla ragione, con freddo pallido liquame nelle vene, cosi viscido e abbietto che il piede di un uomo non riuscirebbe a schiacciarvi, eppure perfino voi, voi inutile e indegno, dovreste essere trattato ugualmente di fronte alla legge!” (citazione dal film Lincoln) I movimenti della macchina sono rallentati, quasi sincronizzati con la mimica di Daniel Day Lewis, come se anche la narrazione fosse appesantita dalla portata del tema trattato. Le inquadrature sono sempre dominate dai profili del presidente, granitici (come la statua che lo raffigura al Lincoln Memorial), mentre sullo sfondo l’America affronta uno dei suoi momenti più bui e decadenti. Il machiavellico “Il fine giustifica i mezzi” portato alle estreme conseguenze. Un manifesto politico esplicito, un ritratto di uno degli uomini politici più significativi della storia americana. Un personaggio che forse lo spettatore europeo non può comprendere e apprezzare nel profondo e al quale non può legarsi, spiritualmente, come quello a stelle e strisce. Volendo fare un’affermazione brutale in alcuni tratti, il film appare un’articolata “lezione di storia” e, a voler essere maliziosi, uno spudoratissimo manifesto pro Obama diretto da uno dei registi contemporanei più concreti di sempre. Opinione personale, ovviamente, ma avvalorata dalla situazione politica, sociale ed economica americana contemporanea che vede il presidente USA al centro di un ambizioso progetto di risanamento privo del sostegno dei poteri forti del paese. Questo fil rouge fa pensare a un’analogia abbastanza calzante tra i due Presidenti americani. Proprio l’anima demagogica del film doveva essere l’arma per piegare l’Academy, la giuria degli Oscar, e catalizzare l’attenzione del pubblico americano. Tale arma ha funzionato evidentemente in parte: bene gli incassi, che hanno ormai superato i 180 milioni di dollari, ma una sola statuetta portata a casa, quella per il miglior attore protagonista (a fronte di ben undici nomination). Anche la scelta di non rappresentare esplicitamente la scena dell’assassinio del Presidente Lincoln è strategica e mantiene ancora di più l’attenzione sul ruolo politico del suo personaggio, piuttosto che sull’aspetto biografico. Alla fine di questa dissertazione resta solo da porci la classica e fatidica domanda: il fim è da vedere? Utilizzando lo slogan di un vecchio spot televisivo di un noto spumante italiano direi “Per molti ma non per tutti”, film per appassionati del genere. Radiografia di un mito che non ci appartiene ma che è destinato a entrare, di diritto, almeno “ai punti” nell’Olimpo di Hollywood.

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